“Il volontariato serve solo se traccia nuove rotte”
Dal n° 6 – Giugno 2015 del mensile Vita
L’intervento del sociologo Mauro Magatti
Il volontariato è stato un soggetto importante di questo Paese, a partire dagli anni Settanta, quelli del post-ricostruzione, dopo l’epoca delle lotte sociali e del terrorismo. E’ stato una spinta sociale storica visibile, che messo in moto molte energie, uno dei motori centrali, non l’unico, che ha portato poi alla nascita del Terzo settore. Ora, però, bisogna essere consapevoli che siamo in un altro mondo; bisogna cercare di capire come, dove, con che forma e in che contesti può nascere un altro ciclo, che sarà diverso dal precedente.
Mai come ora il volontariato non deve porsi e pensarsi in chiave funzionale e tanto meno rivendicativa, ma ha il compito di essere un’avanguardia della nostra società su una questione cruciale: la ricreazione/ricostruzione del legame sociale. L’uscita da questa crisi non sarà la ripresa di decimali del Pil. La chiave sta nella capacità di produrre valore, non solo di tipo economico, che pure è importante, ma valore che abbia a che fare anche con la qualità, la bellezza, la cura dell’ambiente, dei rapporti sociali, dei territori, dei luoghi, della scuola. Questo è il tema storico che abbiamo davanti. Dobbiamo essere consapevoli che dopo un trentennio in cui tutto si è slegato abbiamo di fronte la necessità di rilegare non per chiudersi, ma per guardare oltre, per metterci in relazione con ciò che sta al di là, dei nostri territori, delle nostre imprese, dei nostri Paesi.
E’ il tema dell’Europa, se ci pensiamo bene: come lo tieni insieme oggi un territorio se non sei capace di riscrivere alleanze tra i cittadini che lo abitano? Come fai a reggere la complessità dei problemi che abbiamo davanti, se non si parte da un’alleanza nuova tra persone, gruppi, associazioni, istituzioni?
Siamo davanti a una stagione non di conservazione ma di innovazione. Ora il problema è essere un alimento della difficile innovazione istituzionale, nel senso più ampio del termine. L’immigrazione, per esempio. Il problema non può essere posto solo sui trasferimenti economici dello Stato, che non solo sono difficili da sostenere, ma scatenano risposte reazionarie contrarie. C’è un problema di assunzione di responsabilità di un fenomeno storico che per quanto abbia bisogno della dimensione politica e di quella economica non è sostenibile senza la presa in carico di una rete di volontariato che capisca che quel problema riguarda tutti. Questa è una delle questioni più grandi, ma bisogna essere innovativi nel dare delle risposte. Perché se il volontariato non è innovativo non serve quasi a niente. Solo da tappabuchi.
Le leggi certamente, in ultima istanza le fa il Parlamento, ma in via laboratoriale si fanno nelle società. Abbiamo bisogno che il volontariato si faccia parte proattiva nella realizzazione di nuove forme istituzionali. Mi limito, ad esempio, al grande capitolo dei “Beni di comunità”, in cui potremmo fare una rivoluzione nei prossimo m5-10 anni. Ci sono una serie di beni dentro i nostri territori, che riguardano la gente, l’ambiente, il welfare, la scuola, a cui si potrà accedere per un livello superiore di qualità solo se faremo un’innovazione istituzionale che rimescoli il ruolo della politica con il ruolo dell’economia e il ruolo della società. C’è bisogno che qualcuno cominci, che provi a far nascere alleanze nuove per raggiungere quei beni che altrimenti non raggiungeremo, né singolarmente né collettivamente.
Il problema, alla fine, non è pensare che quello che abbiamo visto noi dovrà durare in eterno, cosa che non è possibile. Il problema è riuscire a trasferire il fuoco che vi ha mosso per trent’anni affinché questo fuoco possa ancora bruciare seppure in modo diverso.