Piccola storia della famiglia
La struttura della famiglia tipo dell’Italia centro settentrionale comincia a verificare una forte differenziazione tra città e campagna già dal XIV secolo: le famiglie urbane sono perlopiù nucleari, quelle rurali complesse.
Nelle città la maggior parte della popolazione viveva in nuclei familiari ristretti: erano artigiani e commercianti che vivevano del frutto del proprio lavoro e quindi una struttura familiare di piccole dimensioni era propedeutica a tale modello economico e permetteva soddisfacenti condizioni di vita.
La famiglia tipica rurale era invece necessariamente numerosa in quanto la sussistenza economica era legata ai terreni di proprietà o presi in affitto la cui lavorazione richiedeva un’ampia composizione della famiglia stessa.
Caso a parte era quello delle famiglie dei ceti più elevati: al matrimonio la moglie si trasferiva stabilmente presso la casa dei genitori del marito e vi risiedeva, vivendo in famiglie multiple nelle quali erano presenti più generazioni, più nuclei matrimoniali e persone sole.
Per quanto riguardava i rapporti tra genitori, figli e fratelli fino al secolo diciannovesimo nelle famiglie di ceto medio-alto e di origine nobiliare le relazioni tra genitori e figli erano basate su principi rigidi e su di una forte verticalizzazione.
I giovani nobili si rivolgevano ad entrambi genitori con formule reverenziali. I genitori erano divisi dai figli e il tempo che i primi dedicavano ai secondi era molto poco. I figli venivano vissuti e percepiti come un peso, come un elemento di contorno per la propria vita intima, il legame era dinastico patrimoniale più che personale e quindi i figli potevano benissimo essere affidati a mani estranee sia per l’accudimento (balie e governanti) sia per quanto riguardava la loro educazione (precettori).
Sì può affermare che la struttura familiare tra il XIV e il XIX secolo rimase sostanzialmente stabile.
In particolare, elemento presente in tutti i diversi modelli di relazioni domestiche era il mantenimento fino a tempi molto recenti della superiorità del potere e della autorità dell’uomo: la struttura ed il potere patriarcale era caratteristica comune a tutte le differenti relazioni familiari e domestiche.
La prima rivoluzione industriale.
Durante la prima rivoluzione industriale, nel diciottesimo secolo in Inghilterra e viva via nel resto d’Europa, la famiglia complessa subì un duro colpo che ne aumentò la tendenza alla frantumazione.
Nella società preindustriale le esigenze ed i bisogni dei singoli più deboli venivano assorbiti, soddisfatti e risolti dall’azione dell’intero gruppo familiare in cui il singolo viveva.
La società industriale invece prevedeva forme di esistenza non più legate alla propria famiglia di origine bensì legate ad associazioni operaie o professionali. Inoltre la possibilità di trovare impiego non era frutto della famiglia di provenienza ma era strettamente connessa alle proprie personali capacità professionali. Tutti questi elementi condussero a strutture familiari di tipo nucleare.
Soprattutto nei paesi mediterranei come l’Italia fino alla maturazione del processo di industrializzazione erano maggioritarie le famiglie estese e quindi possiamo affermare che è stato il superamento della società agricola a vantaggio di una società industriale a favorire la frantumazione della famiglia estesa, segnandone il tramonto a favore di un modello familiare mononucleare.
In Italia ancora nella prima metà del Millenovecento, contrariamente a quanto avveniva in altri paesi europei, buona parte della popolazione viveva in famiglie patriarcali estese composte da tre generazioni e più unità coniugali. Era questo il modello tradizionale di famiglia complessa destinata a durare ancora per pochi decenni. Fino al 1950 non erano rari i casi di operai ex contadini che pur lavorando già in fabbrica da parecchio tempo continuavano a vivere in famiglie patriarcali estese.
Nel nostro territorio, ad esempio, molti operai della Falck tornavano nei fine settimana nelle zone della Bergamasca a vivere nella cascina dove trovavano i genitori, le mogli, i fratelli e i figli che vivevano ancora sotto lo stesso tetto.
Nelle famiglie complesse la nuora viveva in una condizione di completa sottomissione nei confronti della suocera, la guida della famiglia spettava al nonno al quale tutti doveva la più completa e totale obbedienza. Il Capofamiglia dirigeva e organizzava la vita di tutta la comunità familiare e deteneva il portafoglio di casa anche se la gestione quotidiana veniva lasciata alla donna più anziana.
In Italia una forte mononuclearizzazione delle famiglie si è raggiunta solo nella seconda metà degli anni Settanta e ancora oggi molte zone dell’Italia meridionale e insulare, forse a casa di un minore e diverso sviluppo industriale, vedono ancora la presenza di famiglie estese. Vale la pena ricordare come Giovanni Verga nel suo romanzo “I malavoglia”, ambientato nella Sicilia di fine Ottocento, consideri ogni tentativo di abbandonare la famiglia patriarcale un fatto negativo, fonte di sventura per il fuggiasco e per l’intera famiglia.
Anche dal punto di vista degli affetti e delle relazioni tra XVIII e XIX secolo la distanza sociale tra i membri della famiglia cominciò a diminuire. La letteratura ci offre però numerosi esempi di famiglie in cui il rigore, il distacco, la disciplina, la quasi totale assenza di manifestazioni affettuose segna il rapporto tra genitori e figli ancora nel XX secolo: la lettera, scritta nel 1919, dell’ormai adulto Franz Kafka al padre ci rimanda un rapporto figlio/genitore segnato da grande sofferenza e rancore.
La situazione oggi.
Nei paesi occidentali a economia avanzata, a differenza di quelli in via di sviluppo, sono scomparse le famiglie allargate.
Oggi prevale il modello della famiglia nucleare, composta dai genitori e dai figli; inoltre se fino agli anni settanta i figli erano due o tre per famiglia adesso prevalgono i figli unici: è perciò diminuito il numero medio dei componenti delle famiglie che nei paesi ricchi non raggiunge quasi mai le tre unità per nucleo.
E’ invece aumentato il numero complessivo delle famiglie, soprattutto per l’incremento dei nuclei composti da una sola persona, perlopiù anziani soli e per i single, che ormai costituiscono in diversi Stati europei e nelle popolazioni bianche del Nord America un terzo delle famiglie. Sono in forte aumento anche nuove forme di famiglia soprattutto nell’Europa settentrionale e in America settentrionale: si tratta delle famiglie di fatto, cioè coppie non sposate spesso con figli, di quelle monoparentali, composte da un solo genitore divorziato, la madre di solito, dai figli e ricostituite, cioè nate dalle seconde nozze di una persona dopo il divorzio. In seguito all’aumento dei flussi migratori verso i paesi industrializzati crescono anche le famiglie multietniche, formate da genitori di nazionalità diverse. In questo quadro aumentano anche i bambini nati al di fuori del matrimonio. Nell’Unione Europea nel 2004 il 31,6 dei bambini è nato fuori del matrimonio, nel 1980 era l’8,8%.
La famiglia italiana è oggi composta in media da 2,5 persone, lo stesso valore degli USA: ciò significa che il modello prevalente è anche per il nostro paese quello di una coppia con un figlio o senza figli. Nel 1964 ogni coppia aveva invece in media 2,7 figli. Oggi solo l’1,7% delle famiglie italiane ha sei componenti cioè coppie con quattro figli, mentre il 25% dei nuclei familiari è composto da una sola persona, spesso anziana.
Essendo i familiari in gran parte impegnati nel lavoro o a scuola, sono pochi gli anziani che riescono a ottenere assistenza in casa dai propri parenti. Si è notevolmente indebolita la funzione sociale di assistenza svolta dalla famiglia tradizionale in un paese come l’Italia povero di servizi sociali qualificati.
Oggi la maggior parte degli anziani viene affidata alle cure di badanti straniere, immigrate in massa negli ultimi anni.
La famiglia continua invece a funzionare da centro assistenza per i giovani. Tipico dell’Italia è infatti il fenomeno della famiglia lunga, cioè la permanenza in famiglia dei figli anche dopo il trentesimo anno di età. E ciò avviene soprattutto a casa delle particolari difficoltà che i giovani del nostro paese incontrano nel reperire un’occupazione retribuita in modo adeguato e che garantisca delle prospettive di lavoro meno precarie di quelle attuali.
a cura di Ivana Saggioro, socia e volontaria del “Meglio Dopo, Insieme”