Si apprende a comunicare, ma anche a sentire, a provare
“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”
(Seneca)
Siamo nati già parzialmente predisposti al linguaggio, con le corde vocali, con una gola adatta a emettere suoni che oggi produciamo in modo appropriato. Tuttavia, se dopo la nascita fossimo stati abbandonati in una foresta in mezzo ai lupi come i selvaggi, non avremmo imparato a parlare ma emetteremmo invece i versi degli animali feroci, guaiti, ululati, grazie ai quali (con molta fortuna) saremmo sopravvissuti.
Abbiamo quindi un corpo adatto al linguaggio, ma perché si apprenda ad utilizzarlo occorre che stiamo in mezzo ai nostri simili; apprendiamo concetti, nomi, parole e via dicendo e questo apprendimento diventa un apprendimento profondo, con radici tenaci difficili da estirpare.
Come con le parole, mettiamo a punto ed esprimiamo anche emozioni diverse e in modi differenti (risate, pianti, urla ecc) e le nostre “reazioni interne” (rossori, accelerazione del battito, pulsazioni ecc). Insomma nasciamo con grandi potenzialità relative alle espressioni emotive, ma a cultura diversa corrispondono linguaggi emotivi differenti.
Un esempio
Un antropologo raccontò di essere andato a studiare una tribù amazzonica seguendo i dettami di un grande dell’antropologia: Kenneth L. Pike. Quest’ultimo affermava che non si poteva stare sulla collina per riprendere e studiare la tribù da lontano, ma occorreva andare in mezzo a loro e fare la loro vita, diventare uno di loro ecc… solo così si poteva capire cosa stava vivendo quel popolo.
Ebbene il nostro antropologo fece proprio questo: andò con la tribù, restò con loro per un intero anno e alla fine venne pienamente accettato, tanto che lo portarono per la prima volta e con grandissimo onore ad una battuta di caccia (la più nobile delle attività per queste popolazioni guerriere).
Attraversando una fitta foresta, l’esploratore non vide in tempo un ramo tagliente che lo colpì con forza sulla fronte, provocandogli una larga e profonda ferita; stordito dal dolore, barcollò con il volto simile ad una maschera di sangue. Ma tutti i cacciatori intorno a lui, anziché preoccuparsi, scoppiarono in grasse risate!
Altre culture, altre reazioni: le nostre regole dicono che non puoi ridere di un ferito, devi fare altro. Non è soltanto l’educazione a guidarci, ciò che ci accade lo sentiamo dentro e non occorre che ci sforziamo di non ridere: è la nostra lingua.
Stiamo parlando non solo di ciò che si apprende a comunicare, ma anche di ciò che si apprende a sentire, a provare!
Le parole e le emozioni, una volta inventate ed entrate nelle teste delle persone, diventano realtà; come dice la legge ti William Thomas (sociologo) “ciò che sembra reale ha conseguenze reali”.
Perciò, se vogliamo cambiare la nostra realtà, possiamo iniziare dal punto di vista e dal linguaggio che adoperiamo per definirla.