Ti ordino di disobbedire: la “prescrizione del sintomo”

“L’occhio vede ciò che la mente conosce”

J.W. Goethe

 

Potremmo definirla un’Arte magica, quella che occorre per salvare i valori e i saperi per noi importanti non comandandoli, ma ottenendoli in altro modo.

Alle volte diciamo: “Vorrei che Marco non arrivasse mai più in ritardo a scuola”, non “soltanto un pochino meno in ritardo”.

Sappiamo già che comandare non è efficace, lo facciamo da mesi e Marco arriva – ugualmente – sempre in ritardo. Ogni volta, ogni giorno. Riceve la nostra ramanzina, poi un richiamo, poi una nota ed infine finisce dal preside. Insomma: ogni giorno gli diciamo “vieni prima, organizzati, svegliati, guarda meglio i tuoi tempi!” e lui, l’indomani, è ancora in ritardo!

Ora sappiamo che questo ritardo non è dovuto a qualcosa che non funziona nella sveglia di Marco o nella sua sveglia biologica: quel ritardo è qualcosa messo in atto per ottenere in continuazione quel tipo di richiamo dalla scuola, dalla prof, dal genitore, dall’adulto, perché anche di questo (se la cosa è ripetuta tante volte) è fatta la sua identità. E dato che l’identità si mette a punto nel rapporto con gli altri, obbligando gli altri a dire sempre le stesse cose, è chiaro che in quel lungo periodo in cui noi diciamo (in una sorta di coro fatto da genitori e insegnanti), “smettila di arrivare in ritardo”, noi alimentiamo, rendiamo più efficace, più eclatante, più luminoso il suo ritardo, il suo pezzo di identità.

Un cambiamento fondamentale che sta alla base di tutto, è quello di ricordarsi che Marco “comunica di essere cosi” e non “è davvero così”.

È come se fossimo davanti a Marco pronti per giocare una partita a scacchi, ma la prima regola del gioco degli scacchi dice che non si possono toccare i pezzi dell’avversario,  quindi non possiamo cambiare lui, ma soltanto effettuare cambiamenti del nostro comportamento, fare autocambiamenti. La seconda regolaè che per mettere a punto un gioco vincente, occorre che sappiamo che stile di gioco segue Marco, che “mossa” di solito usa. Se conosciamo il suo stile, se sappiamo come ragiona, che cos’ha in testa, possiamo pensare di farcela e di vincere la partita.

Cosa occorre che cambi in me, nel rapporto con te, affinché scompaia il problema?

Il “ti ordino di obbedire” è una trappola che alimenta i problemi invece di produrre dei cambiamenti. Cosa accade invece se diciamo a Marco “ti ordino di disobbedire”? Si aprono due nuove strade: se continua a disobbedire ci sta obbedendo, e capite bene che disobbedire su comando non è esattamente la stessa cosa che farlo volontariamente. Se invece Marco, come spesso capita, perdendo il piacere di trasgredire decide di obbedire, sta facendo esattamente ciò che noi desideriamo.

In entrambi i casi, tramite la formula “ti ordine di disobbedire”, stiamo producendo un cambiamento, ma siamo stati noi per primi a cambiare il nostro modo di agire!

 

 

Ti piacerebbe approfondire? Qui puoi trovare maggiori informazioni.