Volete che l’altro cambi? Ditegli che va bene così com’è!

di Dania Cusenza

*Questo articolo è un estratto dal capitolo 3 “Cornice teorica e strategie relazionali” del libro “Meglio dopo, Insieme. Un altro modo di fare doposcuola” di D. Cusenza, M. Ferri e G. Ronchi, ITL Editore, 2018. Il libro può essere ordinato in libreria oppure acquistato online a questo link. L’introduzione e l’indice del volume sono disponibili in quest’articolo.

 

Hai presente gli strumenti educativi che generalmente gli adulti utilizzano coi ragazzi a casa e a scuola? Ad esempio dar loro delle regole, impartire punizioni quando queste vengono trasgredite, dire loro ciò che devono o non devono fare, affermare “sono tua madre/sono la tua insegnante. Mi devi obbedire”. Si fondano tutti su una asimmetria di poteri.

Ma cosa può accadere se si danno ordini a persone che non riconoscono la nostra autorità?

Non dimentichiamoci che si può comandare solo a chi vuole obbedire.

Ci troviamo pertanto di fronte ad una nuova sfida, che potremmo sintetizzare così: come facciamo a passare ai ragazzi regole, saperi, valori in cui crediamo, senza ordinarli?

Per rispondere a tale quesito dobbiamo chiamare in gioco il concetto di identità.

L’identità

Pensa che guaio sarebbe se un giorno tu fossi puntuale, il giorno dopo ritardatario, poi ancora puntuale, o se uno dei tuoi ragazzi oscillasse a giorni alterni tra l’essere il primo o l’ultimo della classe. Non si capirebbe più nulla!

Abbiamo la necessità, per essere riconoscibili a noi stessi e agli altri, di mettere in atto delle permanenze, delle caratteristiche che siano sempre uguali nel tempo. Ecco dunque che per poter essere io, devo fare sempre le stesse cose affinché gli altri mi dicano sempre la stessa cosa, a prescindere dalle doti che ho (Masoni, registrazioni private).

Nella nostra vita accadono dei fatti (i segni iniziali nella metafora sopra citata) che vengono da noi interpretati in un certo modo e ci portano a costruire un’identità invece di un’altra[1]. Diventa allora davvero complesso riuscire a tornare indietro. Sappiamo bene, ad esempio, che quando uno va bene a scuola e per una volta prende un brutto voto, insegnanti e genitori cercano delle possibili giustificazioni; quando invece uno che va male prende un buon voto, si suppone subito che abbia copiato. Ci è difficile cioè credere che una persona possa cambiare tanto velocemente.

Potremmo dire che i maggiori ostacoli al nostro cambiamento sono proprio gli altri, attraverso le eteronarrazioni. Si tratta di un circolo vizioso. Io ho bisogno di essere sempre io e metterò in atto sempre gli stessi comportamenti. Supponiamo che l’abito che indosso sia quello della persona lenta; gli altri per vedermi cambiare, affermeranno che non vado bene così come sono e faranno di tutto per modificare il mio comportamento. Ad esempio mi diranno “sbrigati!”, imperativo grazie al quale mi riconosco. Meglio essere lenta che non essere nessuno. E così via continuerò a non essere una scheggia per poter essere sempre io.

Quando questo circolo si può interrompere? Quando incontriamo persone che non ci dicono sempre le stesse cose, quelle di senso comune alle quali siamo abituati.

Affermazioni “paradossali”

“Volete che l’altro NON cambi? Ditegli di cambiare. Volete che cambi? Ditegli che va bene così com’è!”[2] .

Naturalmente dire ad un ragazzo ribelle, svogliato, lento, apatico, bulletto…, “mi vai bene così come sei!” non è certo cosa facile.

Facciamo attenzione a non scambiare queste parole per permissivismo; non gli stiamo dicendo “fai pure tutto ciò che vuoi”. Gli stiamo comunicando: “Mi vai bene tu. Guai a te se cambi!”

Noi adulti oscilliamo spesso tra autoritarismo e permissivismo. Da un lato, quando siamo in difficoltà, diciamo ai ragazzi: “Adesso fai come ti dico io!” con tono furioso. Altre volte, delusi dall’inefficacia di questo stile educativo, scivoliamo nel “Sai che ti dico? Fai come ti pare!”.

Sembrano due posizioni antitetiche e invece sono due modi con i quali stiamo al gioco dei giovani, due facce della stessa medaglia.

Esiste una terza via, quella dell’accettazione[3].

[1] Desidero sottolineare la questione dell’interpretazione. Le nostre azioni non sono determinate da ciò che ci accade, in un rapporto di causa-effetto, ma dall’interpretazione che diamo a ciò che ci accade. Ad esempio sappiamo che una bocciatura può essere controproducente quando viene vissuta da un ragazzo come una punizione e invece utile se vista come un’occasione per dimostrare quanto vale.

[2] Masoni, registrazioni private di conferenze.

[3] Masoni, registrazioni private di conferenze.